Cucina regionale

I Promessi Sposi


I promessi sposi

Questa, sia ben chiaro, non è una recensione, ma soltanto un insieme delle sensazioni e pensieri che ho provato nel leggere uno dei romanzi più famosi della letteratura italiana.
Del capolavoro di Alessandro Manzoni, conoscevo come tutti la trama, avevo letto alcuni capitoli a scuola e in altre occasioni, visto più di uno sceneggiato televisivo, ma non avevo mai affrontato interamente l’opera.
Ho preso in mano quindi questo volume per scoprire cosa c’era dietro ogni personaggio, per conoscere meglio il carattere o la storia che ognuno di loro si era lasciato alle spalle, personalità su cui il grande scrittore milanese ha cucito addosso, sottolineandone in ogni particolare, le caratteristiche proprie.
Mi ha fatto sorridere la spontanea e quasi ingenua astuzia di Renzo, ho compatito il pavido Don Abbondio e commiserato la vita da reclusa della monaca Gertrude.
Non mi era sconosciuta la generosità di Fra Cristoforo, ma lo era la grande colpa che l’ha portato alla scelta della vita religiosa.
E’ stata una sorpresa scoprire la parte importante che il Cardinale Federico Borromeo ha avuto nella commovente conversione dell’Innominato, ho apprezzato la grande bontà e simpatia di Agnese, e provato sentimenti contrastanti per la fine solitaria di Don Rodrigo e la troppa rassegnazione della povera Lucia, figura priva di brio e di voglia di lottare.
Anche i personaggi minori non mi hanno lasciato indifferente: come la collera nei confronti di Azzeccagarbugli  per i suoi intrallazzi con i potenti, cose che  purtroppo succedono anche  ai nostri giorni; fortunatamente oggi troviamo anche la generosità di Bortolo, dell’amico d’infanzia di Renzo, della famiglia che ha ospitato la promessa sposa appena liberata e della ricca ma sfortunata mercantessa milanese conosciuta nel Lazzaretto.
Non mi vergogno ad ammettere che mi sono anche commossa, per il dolore di quella povera mamma con in braccio la sua bambina morta di peste mentre seguiva, come in una mesta processione, il carro dei monatti.
Ma le lacrime agli occhi mi sono spuntate anche per la poesia del famoso “Addio ai monti…”, della bellezza di quelle parole che mi hanno spalancato una finestra su quel panorama meraviglioso che mi sorprende ogni volta che mi ci reco.

Per chi ama la grande letteratura, la storia, e la bellezza delle provincie di Lecco, Bergamo, Milano e la Brianza, ritroverà espressioni ancora tipiche nei nostri dialetti, mestieri di quel tempo diventati oggi magari cognomi abbastanza comuni, luoghi non espressamente nominati ma di facile collocazione.

Per tutti quelli che non conoscessero per intero il romanzo, un invito a non perderselo.
Vi assicuro, non è un mattone!!!

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60x60_07_cuffie Ascolta un brano del libro: I Promessi Sposi

Titolo: I Promessi Sposi
Titolo originale: I Promessi Sposi
Autore:  Alessandro Manzoni
Traduttore:
Editore: Newton Compton
Collana: I MiniMammut
Data di pubblicazione:
1827 (prima edizione); 22 Maggio 2014 (si segnala l’edizione più economica attualmente in commercio) 
Prezzo: 3,90 €
Pagine: 607
Codice ISBN:   9788854165519

La polenta bergamasca

Il Manzoni ci racconta che un camino con la brace  calda era  sempre pronto in ogni cucina a riscaldare l’acqua del paiolo e preparare una fumante polenta, che per alcuni era il solo cibo della giornata.

Leggiamo infatti della polenta bigia di grano saraceno, o quella più povera di farina di saggina, ma credo che a casa del cugino Bortolo, Renzo si sia gustato una dorata polenta bergamasca . Noi, che siamo di quella terra, l’abbiamo preparata con  la classica ricetta…
(Si segnala di aver tratto la ricetta dal sito: http://www.slowfoodbergamo.it).

IMG_3062Ingredienti (per 6 persone):

  • 500 gr. farina di granoturco bramàda;
  • 1,8 litri di acqua;
  • 10 g sale grosso;

Le dosi possono variare (da 1,4 l a 2 litri di acqua per 500 g farina, a seconda dell’umidità della farina, della temperatura e della stagione).

Procedimento:
Porre sul fuoco un paiolo di rame con l’acqua dosata ed una cucchiaiata di farina di mais, che resterà in superficie. Quando la poca farina inizierà a muoversi portandosi al centro, salare l’acqua, diminuire il fuoco e versare a pioggia con la mano sinistra i 3/4 della farina mentre con la destra si deve mescolare energicamente con una frusta.
Fondamentale a questo punto è fermarsi: coprire e lasciare gonfiare per 2 minuti la farina.
Poi iniziare a “menare” la polenta e aggiungere lentissimamente la restante farina. Non devono assolutamente formarsi grumi perciò è importante, in questa prima fase, imprimere all’intera massa un movimento vorticoso.
A questo punto cambiare attrezzo: serve il bastone della polenta. Da questo momento si contano i quarantacinque minuti di cottura, minimo.
Menare la polenta è un’arte: il gomito non deve muoversi … chi dirige il bastone è il polso.
Non bisogna assolutamente mescolarla di continuo; lasciandola scoperta si deve, inizialmente mescolare ogni 5 minuti, poi si devono aumentare progressivamente gli intervalli, fino al quarto d’ora finale (ad esempio dopo 5,7,10,14, 15= 51 minuti).
Non bisogna farla schizzare e, quindi, il fuoco deve essere costante e moderato; la polenta deve tendere a sbuffare, quello è il momento di… accudirla, mescolandola con rispetto e amore.
Terminata la cottura la polenta sarà una massa staccata dalla crosta formatasi attorno al paiolo.
Con una veloce manovra la si rovescia sull’asse di legno già coperto con un telo di lino umido. I lembi di questo telo andranno a proteggere la polenta dal contatto diretto con l’aria e la manterranno calda e umida … perfetta ad ogni fetta.

Un po’ di sale in zucca: …”Pulènta frègia, strachì che spössa l’è la baüssa di milanéss”…
(“Polenta fredda e stracchino puzzolente ingolosiscono i milanesi”.)
(Proverbio bergamasco)

 

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Il dono di Natale


Il Dono di Natale è il titolo del primo dei 17 racconti che Grazia Deledda, premio Nobel per la letteratura nel 1926, ha scritto ricordando la sua infanzia e la sua adolescenza, nella meravigliosa terra che è la Sardegna.

Tutte le storie sono ambientate nella zona di Nuoro, dova la grande scrittrice nacque e visse fino al suo matrimonio durante la fine del XIX secolo.

Fanno da sfondo i paesaggi montuosi e selvaggi che diventano un avventuroso luogo per i giochi di bambini vivaci e chiassosi, ma allo stesso tempo dolci e solidali, protagonisti di favole all’interno della dura vita di tanta gente vera.

Freddi inverni quando la neve imbiancava per giorni ogni cosa, leggende narrate davanti al fuoco, il profumo del pane fatto in casa, l’ospitalità intorno a tavole più o meno ricche, la messa di Natale, i pastori con le loro pecore e le tante tradizioni di questa nostra isola mediterranea, tutte situazioni che magicamente trasformavano questi paesini in un grande presepe vivente.

Racconti per ragazzi? Non solo, tante storie per chi ama la Sardegna, per chi legge volentieri un classico o vuole trasformare un ottimo libro in un altrettanto ottimo regalo non solo di Natale.

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60x60_07_cuffie Ascolta un brano del libro: Il Dono di Natale

Titolo: Il dono di Natale
Titolo originale: Il dono di Natale
Autore: Grazia Deledda
Traduttore:
Editore: La Riflessione
Collana:
Data di pubblicazione:
1930 (prima edizione); 2009 (si segnala l’edizione più economica attualmente in commercio – Ebook) 
Prezzo: 5 €
Pagine:
Codice ISBN: 978885098533

Maccheroni al sugo di noci

“Era presto ancora per la grande cena, che si fa dopo il ritorno della messa di mezzanotte, alla quale noi però non assistevamo perchè la notte di Natale è quasi sempre rigida e nelle notti rigide i ragazzi devono andare a letto; ma per noi e per tutti quelli che volevano mangiare senza profanare la vigilia veniva preparato un piatto speciale, di maccheroni conditi con salsa di noci pestate, e con questo e con le storie di Moisè ci contentavamo.” (Il vecchio Moisè)

Ecco qui riproposto questo “piatto speciale” – rivisitato e corretto in mancanza della ricetta originale!

Maccheroni al sugo di noci Ingredienti (per 4 persone):

  • 300 gr di maccheroni (o della pasta che preferite);
  • 150 gr di gherigli di noci;
  • 50 gr di pinoli;
  • Mollica di un panino;
  • Sale q.b.;
  • 1 spicchio di aglio;
  • Pepe q.b.;
  • Olio EVO q.b.;

Procedimento:

Scottate i gherigli di noce in un pentolino con acqua bollente; scolateli, privateli della pellicina e metteteli in un mortaio.
In una ciotola riponete la mollica del panino con un poco di acqua e poi strizzatela bene e mettete anch’essa nel mortaio.
Unitevi anche i pinoli, lo spicchio di aglio pelato, il sale e il pepe: pestate il tutto fino a ridurlo a poltiglia.
Aggiungete a filo mezzo bicchiere circa di olio EVO e fatelo amalgamare bene al composto.
Nel frattempo cuocete la pasta, scolatela e porzionate.
Versatevi sopra il vostro sugo “a freddo” di noci. (Verificate se è il caso di aggiungere un altro filo d’olio).

Un po’ di sale in zucca: …”Sa domo est minore, su coro est mannu”.
(“La casa è piccola, il cuore è grande”).

(Antichissimo proverbio sardo)

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La spiaggia rubata


Una piccolissima isola sulle coste della Vandea che non ho trovato neppure sulle carte geografiche, due paesini antagonisti fra loro, uno ricco e l’altro abitato da poveri pescatori. Il ritorno del “figliol prodigo”, nel nostro caso una ragazza.

Questo il luogo dove si svolgono i fatti.

Una sensazione di “non detto” incombe su tutto il racconto.

La Harris è maestra nello stendere un velo di magico, anche quando di magico non c’è che la natura; dopo un inizio apparentemente tranquillo, fatta la conoscenza degli isolani e dell’isola accade qualcosa.

Il romanzo è come una strada in discesa, percorsa con un’auto senza freni e non si sa cosa c’è in fondo.

Giudizio di Ezechielelupo2: gufolibro4_tras

 

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Niente burro e cannella, ma salsedine e vento in questo racconto della poliedrica Harris.

Nessuno di noi è un’isola, eppure a volte facciamo di tutto per innalzare barriere, distruggere ponti…rubare spiagge.
Anche in casa nostra.

La casa è il luogo in cui, prima o poi, si ritorna sempre: una grande città, un campo di grano, un edificio, un rifugio…un’isola, ma le isole “sono diverse”; le isole mutano  ad ogni marea e invecchiano con i loro abitanti, sulla scia delle loro anime, seguendo le loro vite, gioendo e soffrendo con loro e senza avere confini, fanno delle spiagge i loro porti.
Ma le spiagge spariscono: si rubano.

…E le vite, le loro anime, gli abitanti, ma non la fede, nella “casa”, nelle tradizioni, nella “Santa”, oltre ogni confine, fuori da ogni porto.

Per Mado è una questione personale, per Flynn pure, ma le partenze e i ritorni non sono semplici come appaiono, le radici si affondano, scivolano e affondano, ma restano, per quanto strappate, per quanto alla deriva.

Il mare dà e toglie, lega e lacera…due metà di una stessa isola, due piani di una stessa casa; la forza e la fede, un tiro alla fune, una lotta per la sopravvivenza…di un’isola, un’anima, una casa.

Aragoste e ostriche, pesce fresco e marciume umano: una sapidità più acuta, meno morbida e “provenzale”, ma una nuova brezza tra le pagine di una penna che sarà sempre un porto franco.

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Titolo: La spiaggia rubata
Titolo originale: Coastliners
Autore: Joanne Harris
Traduttore: Grandi Laura
Editore: Garzanti
Collana: Gli Elefanti. Narrativa
Data di pubblicazione: 2002 (prima edizione); 1° Gennaio 2003 (si segnala l’edizione più economica attualmente in commercio)
Prezzo: 9,50 €
Pagine: 430
Codice ISBN: 9788811677826

 

Triglie…alla Harris (Rouget à la Moutarde)!

La “nostra” autrice gourmand è generalmente nota per i suoi effluvi dolci e fragranti, ma per questo romanzo vogliamo proporre una ricetta di pesce, più adatta e decisamente gustosa.
Tratta dal libro The French Kitchen. A Cookbook, scritto a quattro mani dalla Harris e da Fran Warde, segue la traduzione dall’inglese.

red-mulletIngredienti (per 6 persone):

  • 6 triglie rosse, pulite ed eviscerate;
  • 2 cucchiai di senape di Digione;
  • 200g di senape in grani;
  • Olio di oliva q.b.;

Procedimento:

Preriscaldate  il forno a 200°.
Fate 3 incisioni su ogni lato dei pesci.
Mescolate la senape di Digione con quella in grani e distribuitela abbondantemente su tutto il pesce, riempiendo bene anche i tagli. Oliate quindi una teglia piuttosto grande, posizionate il pesce su di essa e infornate nella parte superiore del forno per 20 minuti.
Servite una triglia alla volta.
Le triglie possono essere accompagnate con delle patate stufate e del crescione.

Un po’ di sale in zucca: …”When I was a child, red mullet were so common on Noirmoutier that you could almost catch them with your hands”…
(
The French Kitchen. A Cookbook, Joanne Harris e Fran Warde)

Categorie: Cucina regionale, Harris Joanne, Narrativa, Pesce crostacei e molluschi | Tag: , , , , , , , , , | Lascia un commento

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